Da diverso tempo cerco di orientare le mie letture verso opere di scrittori vicini alla mia generazione. Sono esponente di quella categoria che le statistiche chiamano "lettore forte" e negli anni ho affrontato letture molto diverse, dai classici tradizionali ai cosidetti classici contemporanei italiani e stranieri, tuttavia negli ultimi anni ho cercato di leggere romanzi di autori italiani affini non solo ai miei gusti estetici ma anche vicini più o meno alla mia carta d'identità. Trovando spesso in loro qualcosa in più e meglio rispetto agli altri: un elemento che potrei definire come "risonanza".
L'ultimo in ordine di tempo che ho incontrato è stato Antonio Paolacci. Avevo preso il suo Salto d'ottava (Perdisa Editore, 2010), sarò sincero, attirato dalla gagliarda copertina di Onofrio Catacchio, dalla trama. E dall'incipit. Inevitabilmente, ogni libro che prendo finisce nella pila delle letture, ovvero il dominio del caso e dove lo status quo è infranto in ogni momento e in ogni dove. In pratica le letture non rispondono ad alcun criterio cronologico ma bensì a qualcosa di irrazionale.
Salto d'ottava l'ho letto tutto d'un fiato, roba assai rara. Mi ha colpito la qualità
della scrittura di Antonio Paolacci; precisa, misurata, asciutta senza essere arida, carica
di pathos, perciò molto tesa, concentrata, senza scadere nel patetico. Esatta nel rendere una storia
intensa e che si regge su equilibri assai esili, in fondo. Gran bel
romanzo. Pregevole anche la cura con cui è realizzato l'oggetto-libro. Insomma, la piccola editoria indipendente si rivela vincente e per questo merita senz'altro la nostra attenzione dato che spesso gli autori emergenti hanno scarsa considerazione poichè si tende a ritenere che solo i grandi marchi producano buoni libri e autori di pregio.
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