mercoledì 27 luglio 2011

Agota Kristof

Il mio interesse per le scritture di respiro noir e di matrice nichilista mi fece incontrare Agota Kristof sul finire degli anni novanta, quando per caso presi il volume che racchiudeva la Trilogia della città di K.. Scrittura sublime, dolente e glaciale, in cui riecheggia l'eco del miglior Franz Kafka. La lettura si rivelò un'esperienza aspra e dolciastra.

Agota Kristof era nata il 30 ottobre del 1935 a Csikvánd, un villaggio desolato dell'Ungheria. Nel 1956 l'Unione Sovietica interveniva militarmente per soffocare le sommosse popolari contro l'invasione. Erano gli anni della guerra fredda. Sembra passato un secolo e invece è solo l'altro ieri.

Ad ogni modo Agota Kristof fuggì con tutta la famiglia in Svizzera, a Neuchâtel, dove ha vissuto fino a oggi, giorno della sua morte. In Svizzera imparerà il francese e si dedicherà alla scrittura raggiungendo con Le grand cahier del 1986 (Il grande quaderno) la notorietà internazionale. Le grand cahier confluirà, insieme a La preuve del 1988 (La prova) e Le troisième mensonge del 1991 (La terza menzogna), nella Trilogie (Trilogia della città di K.). Considerata il suo capolavoro la Trilogia è stata tradotta e pubblicata in decine di paesi. Insomma, per chi ancora non l'avesse fatto, sarebbe ora di leggerla o rileggerla.

lunedì 25 luglio 2011

Banana Splits Show


The Banana Splits Show, prodotto dalla Hanna & Barbera alla fine degli anni sessanta, con i mitici Swingo, Bingo, Drooper e Snorky! Chi era bimbetto negli anni settanta e ottanta li avrà senz'altro riconosciuti, perchè giusto in quegli anni le tv private lo trasmettevano a spron battuto. Che spasso! All'interno c'erano dei cartoni animati fantastici, tra gli altri: I cavalieri d'Arabia, Shazzan, Gli impossibili, Frankenstein Jr. e Space Ghost!



I cavalieri d'Arabia erano un gruppo di amici, un tappeto volante, un asinello e un genio che vivevano avventure mirabolanti. Gli Impossibili invece una rock band, indossavano vestiti sgargianti, tacchi alla Beatles e golf alla dolce vita, ma in realtà erano dei super-eroi (Coil Man - "Solo chi è folle sfida le sue molle"; Fluid Man - "Celata in una goccia la forza di una roccia"; Multi Man - "È a capo di un plotone la furia di un ciclone"). Shazzan è la storia di due fratelli, Chuck e Nancy, che trovano due anelli, congiunti i quali invoncano il potente genio Shazzan che li condurrà in un mondo favoloso vivendo straordinarie avventure. Frankenstein Jr. era un robot costruito dal Prof. Conroy per i figlio Bobby che poteva chiamarlo contro i pericoli. Infine Space Ghost, un super eroe fantasma spaziale che combatteva le forze del male! Goduria assoluta.

giovedì 21 luglio 2011

Adam West





Da scanzonato solutore di indovinelli improbabili nelle vesti di Batman nella serie tv degli anni sessanta a Sindaco di Quahog (nella serie dei Griffin) la verve surreale di Adam West non fa una piega. Indimenticabile la sua apparizione nella serie dei Simpson nelle vesti di sè stesso.
Le biografie on line, a parte le tre stagioni nelle vesti dell'uomo pipistrello, non menzionano alcunchè di memorabile della vita o della carriera di quest'attore, entrato lo stesso di diritto nell'immaginario collettivo per l'interpretazione del supereroe creato da Bill Finger e Bob Kane nel 1939.
Ma chi era veramente Adam West?

lunedì 18 luglio 2011

Il fantasma del fumetto

Ripropongo per quanti non l'avessero letto, un denso articolo di Andrea Plazzi, apparso tempo fa sul fascicolo n.2/2009 della rivista Il Mulino, un testo molto interessante centrato sull'editoria a fumetti e il termine graphic novel, un'occasione utile per tornare a riflettere sul fumetto, il nostro medium preferito, e per capire chi siamo e dove andiamo. Il testo è scaricabile anche in formato .pdf da qui. Buona lettura!

Il fantasma del fumetto
Andrea Plazzi

Un fantasma si aggira per gli scaffali delle librerie di tutto il mondo, e persino di quelle italiane. Si chiama “graphic novel” e tradotto alla lettera suona malissimo: “romanzo grafico”. È un termine ormai di largo uso anche nel nostro paese, e non è sempre chiaro cosa indichi e di che cosa sia il fantasma.

Forse di un imbarazzo persistente nei confronti del fumetto?

Per quanto la cosa possa sembrare – questo sì – imbarazzante agli occhi di chiunque non abbia passato gli ultimi quarant’anni a dormire sotto un albero come Rip Van Winkle (della cui storia esistono belle versioni a fumetti), pare proprio di sì.

Il termine “graphic novel” risale almeno al 1964, quando negli Stati Uniti viene usato per indicare fumetti di origine europea, percepiti come sofisticati e meno infantili dei locali “comics”. Oggi lo si attribuisce comunemente ma erroneamente a Will Eisner (1917-2005), uno dei padri del fumetto moderno, che non ne ha mai rivendicato la paternità ma solo l’uso sistematico, nel tentativo di legittimare culturalmente il suo pionieristico Contratto con Dio (“A Contract With God”, 1978). Racconta Eisner nell’introduzione a Contratto con Dio – La Trilogia (Fandango Libri, 2009): “Incoraggiato dall’opera di illustratori sperimentali come Otto Nückel, Franz Masereel e Lynd Ward, che negli anni Trenta avevano pubblicato dei veri e propri romanzi in cui la narrazione procedeva per immagini e senza testo, provai a realizzare qualcosa di ambizioso in un formato simile. Nel vano tentativo di convincere un grosso editore a pubblicarmi, chiamai il mio esperimento ‘graphic novel’.”

Col tempo, il prestigio di Eisner e delle sue opere, considerate capolavori della narrazione a fumetti, ha imposto un’espressione consapevolmente imprecisa (Contratto con Dio è una raccolta di racconti e non un romanzo), più éscamotage promozionale che vero neologismo. Éscamotage che ha funzionato perfettamente: presso il grande pubblico, oggi negli USA la qualifica di “graphic novel” garantisce a un libro a fumetti una patina di rispettabilità impensabile anche solo pochi anni fa. Per contro, l’utilizzo del termine da parte di autori ed editori rivela spesso una certa ansia di accettazione.

Prima di commentare l’uso italiano del termine è interessante rendersi conto della grande varietà di opere che oggi vengono fatte ricadere sotto l’etichetta “graphic novel”. Di seguito riportiamo pochi esempi recenti ma l’elenco potrebbe comprenderne molte decine.

Tra gli antesignani citati da Eisner potrebbe rientrare anche Max Ernst, il cui Una settimana di bontà del 1934 (Adelphi, 2007) viene presentato al lettore di oggi come “graphic novel per soli adulti bambini”. È composto da immagini riprese da feuilletton dell’Ottocento, mute o con brevi didascalie, che occupano un’intera pagina e che, disposte opportunamente in sequenza, raccontano una storia. Pur nascendo in tempi di aperta polemica surrealista contro il formato narrativo del romanzo, stilisticamente l’opera è parente stretto dei lavori di Nückel, Masereel e Ward.

Universalmente riconosciuti come “graphic novel” sono i grandi successi Maus di Art Spiegelman (Einaudi, 2000), tentativo di auto-terapia e straziante rappresentazione dell’Olocausto, e Persepolis di Marjane Satrapi (Lizard, 2007), romanzo di formazione nell’Iran degli Ayatollah.

Coltrane di Paolo Parisi (Black Velvet, 2009) è una biografia del gigante del jazz molto attenta al clima politico e culturale degli anni Sessanta.

Una riuscita sinergia fumettistico-letteraria è Un sogno turco (Rizzoli, 2008), racconto di Giancarlo De Cataldo adattato dal grande autore-disegnatore Giuseppe Palumbo.

Una lieve imperfezione di Adrian Tomine (Rizzoli, 2008) raccoglie il meglio di uno dei “nipotini di Raymond Carver”, autori che con nitore grafico e grande leggibilità declinano a fumetti un minimalismo narrativo emotivamente devastante.

Joe Sacco, autore di Palestina, Goražde: area Protetta e Neven: una storia da Sarajevo (Mondadori, 2002, 2006, 2007), è il caposcuola riconosciuto di un giornalismo a fumetti in cui negli ultimi anni si è distinto il canadese Guy Delisle, con i suoi diari in prima persona dall’Estremo Oriente Pyongyang, Shenzen e Cronache birmane (Fusi Orari, 2006, 2007, 2008).

Più soggetto cinematografico che romanzo, Luchadoras di Peggy Adams (001 Edizioni, 2008) si ispira al dramma delle donne scomparse di Ciudad Juarez; le note di copertina ci informano comunque che “Peggy Adams è un’autrice di graphic novel e un’illustratrice”.

Come sempre, quando un concetto e il termine che lo descrive sono importati da un’altra lingua, è non solo interessante ma necessario domandarsi se e quale espressione italiana è possibile usare al posto di “graphic novel”.

Questa formula, in uso per anni tra gli appassionati italiani, arriva alla stampa generalista attraverso interviste e con ogni probabilità lanci d’agenzia (presumibilmente poco o mal tradotti) su quello che negli USA sembra il fenomeno editoriale del 2003-2004. La necessità giornalisticamente legittima di una parola-chiave spinge probabilmente a evitare ricerche, al contrario di quanto i traduttori sono tenuti a fare sempre. Ricerche che avrebbero rivelato che in Italia è già in uso un’espressione affiancatasi da tempo a “graphic novel” e che ne è l’esatta traduzione (anzi, è persino più precisa). Un’espressione chiara, al contrario per esempio dell’incomprensibile “romanzo grafico”, che ogni tanto fa ancora capolino sulla stampa: si tratta di “romanzo a fumetti”, il cui uso sulla copertina di un libro risale almeno al 1996 (Giovanni Mattioli, Davide Toffolo, Piera degli spiriti, I edizione, Bologna, Kappa Edizioni).

Come per “graphic novel”, l’uso di questo termine è abbastanza libero e a volte indica non il formato narrativo (“romanzo” in senso lato, come lunga storia variamente strutturata e con elementi di fantasia) ma quello editoriale (“romanzo a fumetti” come sinonimo di “libro a fumetti”).

Per esempio, i titoli che abbiamo elencato sono molto diversi tra loro dal punto di vista narrativo, con stili grafici persino più assortiti, ma nell’uso corrente sono considerati “romanzi a fumetti” anche quando si tratta di opere relativamente brevi, “non-fiction” con la struttura del reportage, oppure biografie.

Ci sono diversi motivi per preferire “romanzo a fumetti” a “graphic novel” ma basterebbe quello che abbiamo già anticipato: è un’ottima traduzione.

Un altro è che si tratta di una buona occasione per sprovincializzarsi.

Laicamente, è però anche bene evitare furori integralisti e non andrebbe dimenticato il consiglio di un anonimo curatore dell’Oxford English Dictionary sull’atteggiamento da tenere verso neologismi e termini stranieri, specialmente se sgraditi e prevalenti nell’uso: “Resistere fino alla morte e capitolare prima di morire.”

Il punto è in realtà un altro, e cioè il sospetto che l’utilizzo di un anglicismo à la page, di per sé innocuo, mascheri un persistente pregiudizio culturale verso il termine “fumetto” o persino verso il linguaggio in sé.

Più in generale, negli ultimi anni alcuni episodi inducono a pensare che questi atteggiamenti resistano ancora, al di là delle intenzioni e della stessa buona fede degli interessati.

Dal 2007 la bella collana Guanda Graphic della prestigiosa casa editrice Guanda centellina pochi e ricercati titoli a fumetti. Tra gli altri, un thriller surreal-fantastico ambientato a Parigi nel 1907, con protagonisti Picasso, Satie, Apollinaire e altri artisti del circolo di Gertrude Stein (Nick Bertozzi, Chi vuol uccidere Picasso?); un horror sulla ferocia della quotidianità firmato da un brillante giovane narratore italiano e da due disegnatori dall’efficace sintesi grafica (Gianluca Morozzi, Giuseppe Camuncoli, Michele Petrucci, Il vangelo del coyote); un ottimo adattamento di Kafka da parte di uno dei nomi di punta dell’editoria off statunitense (Peter Kuper, La metamorfosi).

Nel sito della casa editrice i volumi propriamente a fumetti vengono chiamati unicamente “graphic novel” (una sola volta compare l’espressione “adattamento a fumetti”, probabilmente per evitare ripetizioni), ricorrendo in altri casi a perifrasi: Sono figlia dell’Olocausto di Bernice Eisenstein, un libro illustrato dove le nuvolette completano le immagini in un fumetto sui generis, viene definito un “memoir fatto di parole e disegni”.

Sarebbe ingeneroso sospettare di snobismo o prevenzione culturale quella che può essere benissimo una piccola astuzia comunicativa: già nel 2006, per indicare libri e romanzi a fumetti la stampa italiana usa quasi esclusivamente il termine “graphic novel”, che è anche il titolo di una serie di volumi a fumetti allegati a L’Espresso e a La Repubblica, con tirature molto superiori a quelle librarie. Non c’è quindi motivo, né alcunché di male, per non cercare di approfittare della visibilità in qualche modo garantita al termine inglese.

I dubbi tornano però leggendo un’intervista a Luigi Brioschi (http://www.infinitestorie.it/frames.speciali/speciali.asp?ID=617), presidente e direttore editoriale di Guanda. Nel corso dell’intervento qualsiasi riferimento ai titoli di Guanda Graphic è indiretto e l’uso ogni volta di nuove perifrasi sembra rivelare un chiaro imbarazzo. Si parla di “genere graphic” (espressione apparentemente coniata sul momento) e, in merito alle motivazioni all’origine della nuova collana, Brioschi si dice convinto “che si aprano nuove occasioni di incontro e di collaborazione tra scrittura e immagine, tra narratori e illustratori, con esiti piuttosto interessanti.” Auspicio sacrosanto, ma non è un segreto né una novità che queste collaborazioni avvengano da tempo e, al di là dei dettagli tecnico-formali (uno o più autori, lo stile grafico, la struttura narrativa, etc.), il tutto si può parafrasare con “Esistono autori di bei romanzi a fumetti.”

Il termine “fumetti” compare solo dopo la domanda-chiave: “Graphic novel: un genere nuovo. Fino a che punto?” a cui Brioschi risponde: “È evidente che c’è qualche elemento di continuità con i comics, con i fumetti. Ma ci sono anche aspetti di novità nella durata, nello sviluppo della narrazione, nell’appropriazione da parte degli autori di strumenti e tematiche proprie del romanzo.”

Di nuovo, affermazioni più che condivisibili e che diventano tautologicamente vere se accettiamo di chiamare “romanzi a fumetti” le opere in questione.

Avviato all’editoria da Elio Vittorini all’inizio degli anni sessanta, ancora giovane Brioschi è già traduttore di John Updike, Kurt Vonnegut e John Dos Passos. Ha lavorato a lungo in Rizzoli e alle cariche in Guanda va aggiunta quella di consigliere d’amministrazione di Longanesi. Per anni è stato in casa editrice la figura di riferimento, o lo scopritore, di autori come Giorgio Manganelli, Luis Sepúlveda, Nick Hornby, William Trevor e Tiziano Terzani.

È insomma una figura prestigiosa, con un profilo culturale elevato e di grande esperienza.

È della “generazione di Apocalittici e integrati” e sicuramente conosce la celebre analisi di Umberto Eco della prima striscia di Steve Canyon. Non c’è alcun motivo per sospettarlo di snobismo verso il fumetto o di scarsa considerazione per prodotti coraggiosi in cui ha deciso di investire.

Eppure l’imbarazzo nell’utilizzare – o nell’evitare – la parola “fumetti” è palpabile in ogni frase e in ogni ricerca di perifrasi nobilitanti al posto della semplice affermazione: “Abbiamo deciso di pubblicare romanzi a fumetti.”

Ancora più illuminante è il caso seguente, non legato direttamente alla “querelle” (le virgolette sono d’obbligo) Graphic Novel Vs. romanzo a fumetti, proprio perché chiarisce come non siano in discussione onestà intellettuale o buona fede, ma – apparentemente – riserve culturali inconsce e imbarazzi latenti.

Nel 2004 la UTET pubblica Storia del fumetto: da Yellow Kid ai manga di Franco Restaino. L’autore è ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università Tor Vergata di Roma e, come recita la scheda ufficiale del libro, “in una sorta di vita parallela è un appassionato cultore di fumetti”. Col senno di poi, la nota di colore avrebbe dovuto segnalare lo spirito più nostalgico che scientifico dell’operazione. La cosa certo non è censurabile in sé, ma il volume si rivela pieno di errori, imprecisioni, citazioni errate, traduzioni goffamente letterali non corrispondenti all’uso italiano e di ogni sorta di “perle” e svarioni, che siti e forum segnalano e rilanciano impietosi. Parte addirittura una petizione per chiedere alla UTET di ritirare ed emendare il volume, prima che in biblioteche e bibliografie finisca un testo inaccettabile secondo ogni standard scientifico ed editoriale, considerato “pericoloso” per l’autorevolezza della casa editrice e il rilievo accademico dell’autore (preoccupazione fondata: ancora di recente, il libro è stato citato dallo storico Marco Iacona sull’edizione domenicale del Secolo d’Italia del 28 dicembre 2008, fortunatamente su una questione non proprio cruciale come l’età apparente di Asterix). Autore che con grande imbarazzo cerca di difendersi dalle accuse ma è subito chiaro che, in evidente buona fede, non aveva neppure preso in considerazione di applicare all’oggetto della sua passione gli stessi criteri di scientificità, documentazione, verifica delle fonti e in definitiva di pubblicabilità vigenti nel suo ambito originale di studi.

In conclusione, pare proprio che occuparsi di fumetto o anche solo chiamarlo per nome porti alla luce riserve e forme di disagio anche in interlocutori neppure lontanamente sospettabili di miopia culturale o di preconcetti negativi, come un editore prestigioso che vi investe risorse e denaro, o un colto appassionato di vecchia data che vi impegna energie e tempo sottratti allo studio e all’insegnamento. Questo è naturalmente molto interessante e più in generale, per quanto in un ambito circoscritto e specifico, evidenzia bene la natura del pregiudizio, o la sua “biochimica”, come la chiamava Eisner (che, sia detto en passant, le ha dedicato alcuni dei suoi libri più belli, con riferimento all’assai più pernicioso antisemitismo). Una natura istintiva e profonda, che sopravvive anche in presenza di apertura mentale e consapevolezza intellettuale.

Negli ultimi anni una delle spie più evidenti di questo pregiudizio è stato l’uso eufemistico di “graphic novel”, specialmente in riferimento a opere con ambizioni letterarie evidenti, per le quali si esita a utilizzare la parola “fumetto”.

Chi non ha alcun problema a farlo “senza se e senza ma” sa bene che questo linguaggio ha già dato prova di maturità artistica, esprimendo i suoi capolavori, e può consolarsi pensando che in molti casi si tratta di innocuo snobismo o di un pedaggio tutto sommato ragionevole pagato alla moda del momento, che come tale si esaurirà presto.

Al contrario dei tanti, ottimi libri a fumetti che – comunque li si chiami – resteranno.

giovedì 14 luglio 2011

L'ultimo terrestre



Grande! In rete è disponibile da qualche giorno questo teaser-trailer di L'ultimo terrestre, una pellicola girata da Gianni "Gipi" Pacinotti che si basa sui fumetti di Giacomo Monti, in particolare sulla raccolta Nessuno mi farà del male edita da Canicola nel 2010 e di cui ho già scritto su questo blog. Trovo quei fumetti straordinari. E avevo visto giusto, in tempi non sospetti appunto avevo segnalato le sue storie tra le dieci migliori uscite per la Top Ten de Lospaziobianco 2007. Non vedo l'ora di vedere il film, Gipi, oltre ad essere un grande autore di fumetti, ha per altro alle spalle una discreta esperienza come autore di caustici cortometraggi con SantaMaria Video. Ne vedremo delle belle, insomma. Spero che il film sia un grande successo e che faccia incassare molto denaro a Giacomo Monti, come lo stesso si è augurato in una recente intervista considerando che coi fumetti non si vede un euro.

lunedì 11 luglio 2011

Love and Rockets

La pluripremiata Love and Rockets è una meravigliosa e originale saga a fumetti realizzata sin dal 1982 dai fratelli Hernandez: Jaime, Beto e talvolta Mario, fumettisti statunitensi di origini messicane protagonisti della scena indipendente.
Non è facile sintetizzare in poche righe Love and Rockets, in corso di pubblicazione in Italia per Magic Press dalla fine degli anni novanta, tanti infatti sono i personaggi, tante le linee narrative e le trame e sottotrame... più lo spin-off Nuove storie della vecchia Palomar edita dalla Coconino Press, ma è un fumetto straordinario, che non annoia mai, che trascende i generi del fumetto, scritto con pathos e disegnato in un bianco e nero splendido. Da leggere senza farsi troppe domande, abbandonandosi semplicemente al flusso della storia: impossibile non appassionarsi. Sto affrontando la lettura dell'ultimo volume tradotto, Luba in America, ma prima o poi vorrei riuscire a trovare modo di rileggerla tutta.




Ho pensato di postare tutte le copertine dei libri tradotti a tutt'oggi in Italia, così, giusto per dare un assaggio dello straordinario mondo di Love and Rockets. I fumetti, ah! Se non ci fossero bisognerebbe inventarli.

sabato 9 luglio 2011

Helter skelter



Oh, si, Davide Garota disegna sgomma inchiostra colora e mette il lettering... e un'altra cosa, il nuovo fumetto si intitolerà Invito al massacro, non ricordo se l'avevo già specificato.
Sul blog Prima o poi... di Luigi Bicco invece troverete una segnalazione e qualche anteprima del nuovo fumetto in lavorazione. Buon ascolto di Helter skelter dei Beatles! Cosa c'entra? C'entra.

giovedì 7 luglio 2011

Oesterheld e Breccia

Si, certamente, come tantissimi miei coetanei ho letto centinaia di albi Bonelli ai tempi delle scuole superiori, il Dylan Dog di Tiziano Sclavi era la lettura che mi dava maggiori soddisfazioni, e poi i comics dei supereroi Marvel. Ma, le mie prime "sbandate" coi fumetti sono state queste: i fumetti della Vertigo (Sandman, Shade, Swamp Thing, Animalman...) di cui ho già detto, e la scoperta dei fumetti di Hector G. Oesterheld e Alberto Breccia. Erano i primi anni novanta, la scoperta di Hugo Pratt avvenne solo poco tempo dopo, e ogni qual volta una bancarella di fumetti usati mi passava sotto il naso ne approfittavo per cercare di scovare qualche "tesoro". Fu durante una di quelle cacce che trovai una vecchia edizione economica e tascabile di un fumetto che non conoscevo, ovvero Mort Cinder di Oesterheld e Breccia! Il volumetto, di cui vedete la copertina, raccoglieva due storie, Gli uomini dagli occhi di piombo e La nave degli schiavi. Che trip! Avevo sentito parlare dai ragazzi più grandi delle meraviglie del fumetto argentino e quegli autori e quei personaggi non mi erano del tutto sconosciuti certo, ma mai avevo avuto l'opportunità di leggerli, di possederne una copia. Fu come scoprire un nuovo mondo.Non c'erano limiti: sontuosa e coinvolgente la scrittura di Oesterheld, tenebrosi e sublimi i disegni di Breccia. Non avevo mai letto nulla di più bello: mistero, suspence, alta tensione. Realismo visionario. Provate a immaginarne l'effetto sulla mente di un ragazzo suggestionabile... Naturalmente conservo ancora quel volumetto come fosse una reliquia.
Negli anni a seguire cercai di recuperare altre storie, scoprii che avevano realizzato tra le altre cose una versione dell'Eternauta e un personaggio fantastico come Sherlock Time! Venni a sapere che Oesterheld poi aveva collaborato anche con un certo Hugo Pratt... chi scopre un fumetto trova un tesoro, già.

lunedì 4 luglio 2011

Invito al massacro - zerotre

Stavo senza disegnatore, con un soggetto e una sceneggiatura pronte, contrattualizzate con Tunuè, e tuttavia con un certo scoramento. Ma non mi sono perso d'animo. Incoraggiato dalla casa editrice che credeva nella mia storia, ci mettemmo alla ricerca di un nuovo illustratore. Il profilo era questo: talentuoso, affidabile e in sintonia con l'etica del soggetto. Sopratutto motivato. Non sarebbe stato semplice da trovare, poichè se è vero che di disegnatori è pieno il fumettomondo, è anche vero, come ho potuto constatare, quanto sia arduo trovarne di pronti ad impegnarsi anche da subito... d'altronde si era già perso tanto tempo e l'uscita inizialmente prevista per Maggio era saltata ormai. In un primo momento ci rivolgemmo al giro degli autori Tunuè, tra cui avevamo individuato un disegnatore che poteva fare al caso: Hannes Pasqualini. Purtroppo, pur apprezzando parecchio il mio soggetto doveva declinare la proposta poichè già impegnato a tempo pieno.
A quel punto allargai il raggio d'azione della nostra ricerca e passai parola per avere suggerimenti a Michele Ginevra del Cfpaz, che mi ha sempre incoraggiato a diversificare le mie collaborazioni, e a Michele Petrucci, di cui ho sempre apprezzato l'opera e che poteva segnalarmi qualche disegnatore che facesse al caso.
Fu così che Davide Garota divenne il disegnatore di Invito al massacro! (nell'immagine: porzione di una vignetta realizzata da Davide Garota per Invito al massacro).
Con Garota si è instaurata da subito un'ottima intesa sull'estetica del fumetto e la collaborazione attualmente prosegue a gonfie vele. Bene, approfitto dell'occasione per ringraziare la Tunuè che mi ha sostenuto in questa fase di transizione, Hannes Pasqualini per la disponibilità, Michele Ginevra per il costante incoraggiamento e su tutti Michele Petrucci, in veste di talent scout! Per anticipazioni e aggiornamenti sulla lavorazione... seguite nerdelite e mystic park, il blog di Davide Garota.