martedì 26 giugno 2012

Elogio del buio

(il "regalino" che degli amici miei hanno ricevuto l'altra mattina dal loro gatto)
Nelle storie sono i cattivi che rimangono sempre bene impressi. Non c'è molto da spiegare. Sono in genere più interessanti da raccontare. L'arcinemico. Il supercriminale. Lo spietato assassino. Il genio del male. Lo scienziato pazzo.
E le sfumature della cattiveria. Pensiamo al romanzo Cuore di Edmondo De Amicis. Compendio della retorica risorgimentale. Sussidiario dei buoni sentimenti. Un libro inutile, se non fosse per la presenza di Franti. Il torbido, molesto e malvagio Franti.
E che dire dei Promessi sposi di Manzoni? Un romanzo in cui popolani lombardi si esprimono con un'improbabile parlata toscana. E la tiritera della Provvidenza. Meno male che ad un certo punto spunta Egidio. Lo scellerato Egidio. Il sinistro seduttore della Monaca di Monza. 
Non c'è niente da fare. Rimanendo alla materia scolastica non ci resta che citare la Divina Commedia. Dante avrebbe potuto fare a meno di scriverla se non fosse per l'Inferno e i gironi delle anime perdute. Il Conte Ugolino della Gheradesca vale da solo l'intero poema. Per tacere del resto dei dannati. Stavvi Minos, orribilmente e ringhia. Ah! 
Ad un certo punto non se ne può più dei cosidetti "eroi positivi". In narrativa meglio prediligere i personaggi ambigui. In ombra. Tormentati. Indecisi. Ai margini. Maledetti. E assai più reali.
Meglio navigare nel Mar delle blatte. Ascoltare la La caduta della casa degli Usher.
Meglio Lo Sconosciuto. Ranxerox. E Zanardi.
Meglio il buio.


5 commenti:

Marco D ha detto...

Forse sì hai ragione, non vale la pena fare come gli struzzi.
"E però"... Sì, ti propongo un "eh però": dove fissiamo il limite?

Cioé fino a dove ha senso raccontare un personaggio "negativo"? E' una cosa su cui da lettore, prima che come "wannawas", mi viene da riflettere sempre più spesso.
Per esempio, ho raccolto le mie impressioni qui:
http://sonostorie.wordpress.com/2011/10/22/se-non-vuoi-che-labisso-guardi-dentro-di-te/

mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi tu (non delle mie riflessioni ;)) di questo aspetto.

GiovanniMarchese ha detto...

Potrei risponderti che il limite è dentro di noi. E con ciò intendo che il racconto del "negativo" a mio parere non può essere fine a sè stesso, cioè, ai fini narrativi deve essere efficace, giusto. Rilevante. Altrimenti è solo un voler essere scabrosi ad ogni costo. Mero esibizionismo. Vedi gli esempi che ho fatto, lo scellerato Egidio, il Conte Ugolino... e tutti gli altri sono esempi di negativo narrativo, non so se ho reso l'idea. A mio modo di vedere e sottolineo a mio modo ;) Poi ognuno come lettore e autore fa le scelte che preferisce. Ora vado a leggere il tuo contributo :)

GiovanniMarchese ha detto...

p.s ho letto il tuo post... e questo è il mio pensiero: declino ogni responsabilità circa il valore "morale" che i lettori attribuiscono alle cose che scrivo. Non posso rispondere delle interpretazioni che il lettore può dare ad una storia perchè entrano in gioco elementi troppo soggettivi, a mio modo di vedere. Poi da autore sono "costretto" ad assumere punti di vista diversi dal mio per poter interpretare vari personaggi. Descrivere certi ambienti. Non posso prevedere che lettura morale ne faranno, altrimenti finirei per scrivere cose finte, a mio modo di vedere. Ogni lettore legge attraverso la propria sensibilità. Figuriamoci. Come autore sono responsabile solo dell'efficacia della scrittura rispetto al senso delle mie idee. Delle interpretazioni altrui non posso e non voglio e non debbo rispondere, per come la vedo io.

marco D ha detto...

No certo, nessun autore è responsabile delle azioni dei suoi lettori.(altrimenti dovremmo imputare a Salinger l'omicidio di John Lennon).
Probabilmente è vero come ricordi che l'unico discrimine sta nella funzionalità narrativa dei personaggi, tra il raccontare la malvagità e compiacersene.
Forse, però, perché sto diventando vecchio, ma trovo che la quantità di autori compiaciuti (nel fumetto, nel cinema, nella tivvù) sia proliferata.
La voglia di stupire, la trovata a effetto, finisce per mangiarsi qualsiasi buona intenzione narrativa. A volte la violenza più efferata (psichica oltre che fisica) diventa una scorciatoia per tenere alta l'attenzione dell'interlocutore.
Non voglio fare il moralista, ma credo che gli autori questo problema debbano porselo.

GiovanniMarchese ha detto...

Direi che sono in parte della stessa opinione. Mi spiego meglio. A me lettore, che l'autore si compiaccia del male, può disturbare, ma sarà sempre un "disturbo" soggettivo. Cercherò di essere più preciso rovesciando la medaglia: prendiamo il compiacimento per il bene che emerge oggigiorno con sempre maggiore prepotenza nelle biografie di personaggi famosi morti, per esempio. Cioè, la volgarità vera dove sta? Per me nella retorica. Nell'esibizione dell'efferatezza fine a se stessa così come dell'indignazione di facciata che vedo come scorciatoie per libri di facile richiamo. Come autore il problema principale, insomma, è non essere paraculi e pornografici. La responsabilità dell'autore sta tutta qui, nella necessità narrativa di quello che producono, secondo me.