sabato 2 ottobre 2010

Che tempo che fa


Riprendo il racconto sulla composione di soggetto e sceneggiatura del nuovo fumetto. Assimilati libri, sogni e riflessioni, avevo ormai chiaro che il punto di vista da cui avrei elaborato la narrazione sarebbe stato quello di uno schizoide paranoico che si sarebbe mosso in un contesto di feroce frontiera collocata in una Sicilia prossima ventura, diciamo situata alla distanza di una misera manciata di due-tre anni nel futuro rispetto all'oggi.
James G. Ballard da qualche parte sostenne che l'unica realtà possibile è quella che costruiamo dentro di noi: cercai di mantenermi sulla traccia di questo sentiero.
In una prima fase mi concentrai sulla raccolta di materiale narrativo che si formava spontaneamente dall'osservazione e dalla rielaborazione della realtà, di cose da dire dettate esclusivamente dalla semplice urgenza e dalla loro bruciante attualità.
Le gettai tutte via come in fondo all'acqua: personaggi, concetti, idee, situazioni.
Mi sedetti in riva al fiume e attesi il cadavere del nemico.
In quei momenti aspetti, non devi farea altro. Aspetti, e se non succede niente, aspetti ancora un po'.
Solo ciò che ritornò a galla fu da acchiappare e ritenere utile alla faccenda, alla storia che mi accingevo a raccontare.
Quella del tempo che scorre tra l'ideazione di un racconto, la stesura di una trama, l'elaborazione di un soggetto, la raccolta di una congrua documentazione è a mio modo di vedere la fase più importante e delicata nella scrittura di un fumetto, poichè se essa risultasse inadeguata neanche il migliore disegnatore al mondo riuscirebbe nell'impresa di raddrizzare le sorti di un libro a fumetti nato male.
Questa è la parte più preziosa e contemporaneamente la più sconosciuta nella creazione di un fumetto: il tempo.
Nessuno mai inserirà nei credits di un fumetto il tempo.

(nell'immagine: Edward Hopper, Rooms by the sea, 1951)

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