mercoledì 23 marzo 2011

Fumetto e dialetto

Nei miei fumetti uso spesso il dialetto siciliano. Dato che nessuno fin'ora s'è preso briga di chiedermi come e perchè mi preme colmare questo vuoto critico che ha del clamoroso. In primis, a meno di averne del tutto perso la memoria, non mi pare che nel fumetto italiano si sia fatto granchè uso dei dialetti, ma potrei sbagliarmi dacchè non è che me ne sia curato poi molto, se non quando sceneggiando Ti sto cercando di tanto in tanto mi risultava assai più sincero, immediato e coerente utilizzare espressioni dialettali nei dialoghi, un'operazione di scrittura che ho portato avanti con maggiore sicurezza a dire il vero per la sceneggiatura di Nessun ricordo e oltre.
L'uso del dialetto consente una maggiore concentrazione di significati, una migliore espressività, però pone dei problemi relativi alla sua comprensione da parte dei lettori che non conoscono il dialetto, se non quella forma artificiale che si sente al cinema e nelle fiction televisive o, in alternativa, nella migliore delle ipotesi, nella versione letteraria del Commissario Montalbano di Andrea Camilleri.
In generale poi ero e resto contrario ad un uso assoluto del dialetto data la sua limitata comprensione - per sua natura il dialetto è compreso da una comunità assai ristretta di parlanti, tanto che cambia da una città all'altra per non dire da un quartiere all'altro - tuttavia rimane la forza espressiva del dialetto, la sua capacità di sintetizzare i significati, di conferire sincerità al racconto. C'era poi un altro problema: quale dialetto utilizzare? Siccome sono sempre stato restio a dare una collocazione geografica troppo precisa alle mie storie, nella convinzione che per il lettore sia più facile immergersi in un contesto sfumato, ho cercato di sfumare anche la componente dialettale cercando di alternare la sintassi italiana con quella dialettale, proverbi e modi di dire, espressioni siciliane di aree diverse dell'isola. Sarò riuscito nel mio intento? Datosi che fin'ora nessuno ha avuto di che lamentarsi, anzi, molti lettori si sono divertiti penso ca ma pozzu spacchiari (n.d.t. posso andarne fiero).
Ad ogni modo penso che tornerò su questo argomento, magari proponendo una sorta di glossario.
(nell'immagine in alto lo stemma della Sicilia con al centro la Trinacria, simbolo antichissimo dell'isola).

2 commenti:

Marco Pellitteri ha detto...

Mi piace molto il tuo post; direi solo però che il siciliano è una lingua regionale, contenente diverse varianti dialettali. Come lingua, il siciliano ha dei limiti dovuti al fatto che è rimasta alquanto cristalizzata nel tempo, perché gode di una solo molto limitata tradizione scritta in epoca contemporanea, ma è pur sempre una lingua. A presto!

GiovanniMarchese ha detto...

si, è vero, la produzione dialettale scritta contemporanea è poco consistente, nonostante i limiti posti sono dell'idea che rimanga uno strumento narrativo ed espressivo assai efficace, ma l'italiano deve restare lo strumento principale, altrimenti si rimane chiusi... se poi ci mettiamo accanto una anche minima conoscenza di una lingua straniera è meglio.