martedì 5 aprile 2011

Nouvelle Vague Tinto Brass


Quando si pensa a Tinto Brass il pensiero vola subito ai suoi film sporcaccioni e goderecci, densi di nudità e trionfo di sederi femminili. Però forse non tutti sanno che il regista veneziano visse anche una breve ma intensa stagione negli anni '60 in cui diresse una serie di film molto interessanti legati all'estetica della Nouvelle Vague, prima quindi di deragliare nell'erotismo satireggiante delle mammelle e del fondoschiena femminino.
La prima volta che Brass scatenò le ire della censura suscitando scandalo non fu infatti per le scene di nudo, semmai per aver mostrato il sentimento anarchico e il malumore di un ragazzo che non riusciva ad integrarsi nella società: Chi lavora è perduto (1963) è una pellicola emblematica degli umori sessantottini per come evidenzia l'insofferenza verso le istituzioni della borghesia (un lavoro stabile, la famiglia, la rispettabilità borghese, la Chiesa Cattolica). Brass all'epoca era reduce dall'importante esperienza vissuta in Francia, nella Parigi della Nouvelle Vague, dove negli anni '50 si era trasferito per lavorare come archivista presso la Cinematheque Française.
Divenuto aiuto regista di Roberto Rossellini per India e Il generale Della Rovere (1959), nel 1964 gira il suo secondo film, Il disco volante, cui seguono Col cuore in gola (1967) - un film misterioso e figurativamente intenso (vide Guido Crepax in veste di consulente grafico) - e L’urlo (1968) - epopea anarchica e antiborghese, pellicola sperimentale con venature satiriche che subì l'onta del sequestro (sarà liberata solo nel '74). Questi - a parte un paio di pellicole di montaggio - gli ultimi film "impegnati" prima della "svolta erotica". Non so cosa abbia determinato questa "svolta", ma questi quattro film seppero dare una visione originale e d'avanguardia. Una nota a parte merita a mio parere Il disco volante, film delizioso che vide la partecipazione di Silvana Mangano, Monica Vitti e Alberto Sordi: gli extraterrestri sbarcano nella pianura padana. C'è chi li piega ai propi scopi, chi li sfrutta e chi li uccide. Quei pochi che li prendono sul serio finiscono in manicomio. Alberto Sordi sfodera una prestazione alla maniera di Peter Sellers (vedi Lolita o il Dr. Stranamore) interpretando ben quattro ruoli: il parroco, un ufficiale dei Carabinieri, un intellettuale di provincia ed infine un laido aristocratico omosessuale. Geniale.

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