martedì 15 maggio 2012

La testa mi fa dire

La testa mi fa dire che... è un'espressione tipica del dialetto siciliano; a testa mi fa diri ca... è intraducibile alla lettera, il suo significato stringente sarebbe "io penso che...", tuttavia non rende giustizia alla magnifica perifrasi "la testa mi fa dire", si perché quest'ultima lascia intedere che la testa sia qualcosa di autonomo dal resto del corpo e persino dall'anima, quando un siciliano pronuncia "la testa mi fa dire" bisogna fare molta attenzione. La testa mi fa dire sembrerebbe la casamatta della ragione, la fortezza della logica e invece no, "la testa mi fa dire" è il dominio dell'intuito, una sorta di sesto senso.
Una voce profonda che viene da lontano.
Scrivere è affidarsi a questa voce. Per questo uno scrittore (quindi anche uno sceneggiatore) quando lo vedi è come se non esistesse; lo sguardo vuoto, la testa altrove, effettivamente altrove, appresso le vicende dei propri personaggi, sulle tracce della storia che sta scrivendo, che mai l'abbandona un attimo. Quella voce che ti sussurra all'orecchio suggerendoti idee e sviluppi nei momenti e nei luoghi più disparati; e a quel punto sei condannato, obbligato a stare ad ascoltare, cercando di registrare bene il tutto che poi ti toccherà scrivere recluso da qualche parte.
Uno scrittore non conduce una sola vita, ma due, almeno. E uno scrittore insegue il tempo per scrivere dopo il lavoro, le ore che rosicchia agli affetti, alle faccende quotidiane, al sonno e a tutto il resto. Il tutto nella speranza di essere compreso. Almeno compatito.

4 commenti:

davide garota ha detto...

bel post! Sottoscrivo e compatisco.

GiovanniMarchese ha detto...

emblematico il caso di Raymond Carver, che dopo una giornata di duro lavoro (prima di toccare il "successo" svolse vari mestieri) andava a rintanarsi in garage a scrivere davanti una caldaia... oppure appoggiato alla lavasciuga fino a notte fonda. Altro che ispirazione! Le muse appartengono all'ideale romantico e non hanno attinenza con le condizioni materiali.

LUIGI BICCO ha detto...

Curioso. A Napoli, quando hai fatto qualcosa di sciocco, sbagliato o semplicemente strano, ti viene chiesto dal tuo interlocutore: "Cosa ti dice la testa?"
Ovverosia: "Che te dice 'a cap?"

Avevo letto anch'io la storia di Carver. E ho pensato che "luogo di ispirazione" può essere per uno scrittore un posto che tu non considereresti mai tale. Joris Huysmans ha sempre detto di scrivere benissimo nella sua casa da "poveraccio". E Balzac non trovava pace per via dei creditori e scriveva dove capitava.

Poveretti :)

GiovanniMarchese ha detto...

A me la condizione ideale per scrivere è una sola: la solitudine. Basta anche una stanza chiusa. Senza cellulare, telefono, chat varie. Naturalmente intendo la fase del gettare nero su bianco. Quella precedente, cioè la scrittura pensata, che poi è almeno la metà del lavoro, ecco, per quella a me basta essere ovunque, purchè quancuno non interrompa la catena dei miei pensieri. MA tornerò su questi argomenti in uno dei prossimi post.