
Ho scoperto
Friedrich Dürrenmatt diversi anni fa leggendo
Napoleone, la miniserie Bonelli di Carlo Ambrosini. Nei primi albi infatti c'era tra i redazionali una rubrica a puntate sui maestri del noir, in una in particolare si ricostruiva un profilo dello
scrittore svizzero - di lingua tedesca - che avrei imparato a conoscere e apprezzare. Iniziai leggendo le traduzioni di
Il giudice e il suo boia per proseguire con
Il sospetto.
Dürrenmatt non è il classico scrittore affetto da quel "giallismo di provincia" così in voga negli ultimi anni dove si muore di noia e buoni sentimenti. No.
Dürrenmatt è molto di più. Nelle sue storie emerge un sentimento oscuro. Un modo grottesco con cui scioglie i nodi del vivere civile mettendo a nudo le ipocrisie e i segreti inconfessabili celati dietro la scenografia della paradigmatica e brillante borghesia svizzera.
La scrittura di
Dürrenmatt si svolge attraverso tensioni penetranti per giungere a visioni venate di satira acre e lucida. Le trame delle sue storie poliziesche avviluppano il lettore trascinandolo in un gorgo oscuro in cui nessuna luce sembra giungere a rischiarare le cause e i moventi. La realtà è rispecchiata nei suoi romanzi senza alcuna redenzione. Essa appare dominata dal caso e nessuna logica può condurre a conclusioni certe. Il destino umano è quello di un vagare nel buio senza dogmi né certezze in un labirinto di specchi.
Dürrenmatt ha pure lavorato per il teatro e la radio, oltre ad essere un eccellente pittore. Nel tempo ho avuto modo di leggere altre sue opere che ho trovato tutte molto affascinanti come
La promessa,
La panne e giusto nei giorni scorsi
Giustizia (recentemente riproposto appunto da Adelphi). Gran belle letture.
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